Il processo rivoluzionario in Rojava sta entrando nel suo decimo anno. È importante vedere questo processo nelle sue diverse fasi. Queste fasi differiscono, ad esempio, negli attori coinvolti, nell’equilibrio delle forze o nelle forme del conflitto. Alcune fasi possono essere datate con precisione e sono associate ad eventi noti (la difesa di Kobane all’inizio del 2015, la liberazione di Raqqa verso la fine del 2017, la guerra di occupazione turca contro Afrin nel gennaio 2018, ecc.) Altri cambiamenti sembrano essere più graduali o possono essere osservati solo a posteriori. Questo approccio consente una visione differenziata delle particolari condizioni in cui si svolge il processo.
È una delle qualità eccezionali dei compagni curdi e turchi sul campo quella di trovare costantemente nuove strade, attraverso questo metodo, per garantire la continuazione del processo in circostanze in costante mutamento. Lo vediamo in modo esemplare nel modo in cui sono riusciti a imparare dalla sconfitta militare ad Afrin in modo tale che l’esercito turco ha incontrato una resistenza meglio preparata a Serekaniye. Lo vediamo anche, ad esempio, nel modo in cui le guerriglie sono in grado di sviluppare costantemente nuovi mezzi nelle aree liberate dei monti Qandil. Questo approccio protegge dal dogmatismo e dalla miopia; ogni volta permette di orientare l’intera società del Rojava verso l’obiettivo comune di difendere il processo.
Crediamo che il movimento di solidarietà internazionale con il Rojava farebbe bene a utilizzare un metodo simile per mantenere un filo di solidarietà internazionale che sia costante e adeguato ai cambiamenti. Attualmente – estate 2022 – il principale nemico del Rojava è lo stato turco. Uno degli argomenti principali di questo opuscolo è che è sbagliato aspettare passivamente il giorno X, quello della “grande offensiva” in cui allora bisognerebbe scatenare la solidarietà. Al contrario, la forma di guerra a bassa intensità attualmente condotta dalla Turchia
in tutte e quattro le parti del Kurdistan rappresenta una minaccia mortale. E questa particolare forma di guerra è del tutto appropriata dal punto di vista turco in quanto “normalizza” lo stato di guerra e rende difficile un ampio movimento di solidarietà.
La prima versione di questo studio è stata scritta nell’inverno 2019/’20. Fu generalmente ben accolta e le poche volte che se ne parlò non era su base scientifica, ma piuttosto perché ad alcuni sembrava che il concetto di “bassa intensità” rischiava di far sembrare la guerra “meno grave”, “meno reale”.
Quindi precisiamolo ancora: non solo la guerra a bassa intensità è una vera guerra, dura e sanguinosa, ma è una guerra che minaccia l’esistenza stessa della rivoluzione in Rojava.
È a questa consapevolezza che mira questo studio.
Sta a noi, fianco a fianco con i nostri compagni in Rojava e Qandil, agire di conseguenza.
Dal cessate il fuoco del 17 ottobre 2019 e dalla fine degli attacchi “in grande stile” lanciati dalle forze armate turche contro il Rojava, la guerra ai curdi in Turchia, Siria e Iraq non è mai cessata.
Essa ha assunto una forma nuova che combina tre forme di guerre teorizzate dagli strateghi: la guerra di bassa intensità (low intensity warfare), la guerra ibrida (hybrid warfare) e la guerra combinata (compound warfare). Alle azioni militari convenzionali, ormai volontariamente limitate, si aggiunge tutto un ventaglio di azioni ostili, come gli omicidi mirati, incendi dei raccolti, bombardamenti specifici con droni, attentati portati dalle milizie ausiliari, provocazione di esodi della popolazione, ecc.
Solamente durante le 6 settimane di “cessate il fuoco” dopo il 17 ottobre 2019, l’esercito turco ha compiuto in Rojava 143 incursioni terrestri, 42 bombardamenti con droni, 147 bombardamenti con carri armati e artiglieria. Ha invaso e occupato 88 località, mietendo centinaia di vittime e sfollando 64.000 persone.
Tuttavia, non solo fra i media ma fin dentro il movimento di solidarietà verso il Rojava domina il sentimento che la guerra è “sospesa”. Il Rojava esce dalla cronaca, al massimo il movimento teme e si prepara alla “grande guerra”, all’offensiva “in grande stile” delle forze armate turche contro il Rojava. Come attualmente, estate 2022.
Lo studio che qui presentiamo prende essenzialmente come esempi le azioni ostili attuate alla fine del 2019, durante il “cessate il fuoco”, da Turchia e dai suoi ausiliari contro il Rojava. Perchè questi non sono incidenti isolati, ma elementi costituenti una strategia ponderata e pianificata.
Tale strategia non riguarda solo il Rojava ma la stiamo vedendo in altre regioni liberate del Kurdistan (come i monti di Qandil in Iraq) oppure in spazi dove il movimento di liberazione curda ha permesso l’autorganizzazione popolare (campo profughi di Makhmour o la regione yazida di Shengal in Iraq, ecc.).
Questa forma di guerra può perdurare e costituisce una minaccia mortale per le regioni liberate del Kurdistan. Il movimento di solidarietà con il Rojava deve capire questa minaccia e imparare a rispondervi.
Non è chiaro il motivo per cui la Turchia nel 2019 è passata da una strategia di guerra totale (con intervento diretto e massiccio di esercito e aviazione militare turchi) a una strategia di guerra di bassa intensità. Potrebbero essere intervenute considerazioni di politica internazionale. Ma anche la resistenza di Serekaniye nell’ottobre 2019, che ha mostrato come le SDF fossero meglio preparate in occasione della battaglia di Afrin (gennaio-marzo 2018), potrebbe aver determinato questo cambiamento di strategia.
La guerra attualmente in corso da parte della Turchia contro il Rojava combina tre caratteristiche:
Prima di precisare i differenti aspetti di questa nuova forma di guerra condotta contro le regioni liberate del Kurdistan (principalmente il Rojava e i monti di Qandil) occorre sottolineare che parecchie sue caratteristiche esistevano già prima del “cessate il fuoco” nell’ottobre 2019. La Turchia ha sempre fatto ricorso a milizie paramilitari e mezzi non convenzionali. Ciò che caratterizza la nuova fase è che i metodi che prima erano ausiliari, complementari, diventano strategici, principali.
1. L’uso di paramilitari
I paramilitari implicano una prassi più economica e meno pericolosa politicamente. Non sono sempre controllabili al 100% (certi crimini di guerra commessi da paramilitari possono essere parzialmente previsti e calcolati dalla politica turca, altri possono essere semplici iniziative dei paramilitari stessi). Sono tre le categorie di milizie: gli ausiliari [gruppi dipendenti direttamente dalla Turchia come la milizia Jaysh al-Sharqiya di ASL (Esercito libero siriano, n.d.t.)], i mercenari (come la Divisione Sultan Murad, tanto dipendente dallo Stato turco che l’ha mandata a difendere i suoi interessi in Libia nel gennaio 2020) e altri belligeranti con la propria autonomia politica, ma i cui interessi coincidono con quelli della Turchia (e che dalla Turchia ricevono aiuti), come ad esempio Daesh.
2. Gli attacchi militari classici
Questi continuano. Sono abbastanza rari da dare l’impressione d’essere eccezioni, o addirittura incidenti, ma sufficientemente numerosi ed efficaci da adempiere ad una funzione strategica d’indebolimento graduale della resistenza. Le maggiori di queste operazioni combinano bombardamenti aerei, incursioni terrestri e assalti con elicotteri.
Nel Kurdistan iracheno l’esercito turco ha compiuto parecchie grandi operazioni a fine anni ’90 (l’operazione “Acciaio” nel marzo-maggio 1995, l’operazione “Martello” nel maggio-luglio 1997, l’operazione “Alba” in settembre-ottobre 1997); un’altra operazione è stata condotta nel febbraio 2008 (operazione “Sole”). Ma dal 28 maggio 2019 viene condotta un’operazione per parecchi mesi, con picchi e cali di intensità, denominata genericamente “Artiglio”. Queste operazioni combinate (bombardamenti/incursioni terrestri) sono riprese quest’anno (2020) nella regione. Le operazioni «Artiglio di tigre» e «Artiglio d’aquila» si sono svolte nel 2020, «Artiglio lampo» e «Artiglio folgore» nel 2021, e ultima in data, battezzata “Artiglio serratura” si svolge dall’aprile 2022. Talvolta fino a 4.000 soldati turchi operano in questo quadro.
3. Movimenti demografici
Si tratta di causare spostamenti di popolazioni conformi agli interessi strategici turchi. Tali spostamenti avvengono in due tempi:
4. Gli attacchi all’economia delle regioni non occupate
L’obiettivo è quello d’indebolire il potenziale di resistenza materiale e morale, di provocare contraddizioni nell’avversario rendendo difficile la vita alle popolazioni. Si possono distinguere:
5. Gli attacchi all’economia delle regioni occupate
Vengono pure compiute distruzioni nelle regioni occupate, con due obiettivi a seconda delle zone in cui si attuano:
Questa è una procedura che i paramilitari turchi avevano già utilizzato ad Aleppo, fino alla riconquista della città da parte delle forze governative nel 2016. Prima della guerra, uno degli assi della politica del regime è stato lo sviluppo di un’economia autosufficiente, basata su investimenti pubblici e un controllo rigido delle importazioni. Aleppo era un centro dell’industria tessile nazionale. Gli islamisti l’hanno smantellata per realizzare un’apertura forzata del mercato siriano ai prodotti turchi.
6. L’assunzione del controllo di punti strategici
La guerra di bassa intensità attuata dall’esercito turco contro le regioni liberate del Kurdistan iracheno avviene non solo con bombardamenti (comprese le armi chimiche) e irruzioni di commando sui monti di Qandil, ma anche attraverso la creazione di numerose basi, atte a circondare e strangolare le regioni liberate. Le prime di queste basi sono state installate sin dal 1997.
Ci tornano alla mente immagini di centinaia di manifestanti curdi, senz’armi, protestare contro i bombardamenti mortali effettuati dall’aviazione turca, invadere la base di Shiladze (provincia di Duhok) e incendiare veicoli militari. Nel giugno 2018 esistevano già 13 grandi basi turche (e un numero di piccole stazioni periferiche). Ad agosto 2022 sono circa un centinaio le basi permanenti, di varie dimensioni. Questo aumento porta a un cambiamento qualitativo dove ciò che era una rete di basi operative anti-guerriglia diventa una vera e propria occupazione militare, che va oltre il quadro delle operazioni di bassa intensità.
7. Gli attacchi sul fronte IT (settore informatico)
Questi attacchi alle comunicazioni possono distinguersi per la loro natura (attacchi materiali o attacchi informatici IT) o per il loro scopo (comunicazioni sul posto o media d’informazione rivolti all’esterno). Così, prima dell’offensiva turca il 9 ottobre 2019, una moltitudine di account Twitter è stata creata, inondando la sfera Twitter della propaganda filo-turca.
8. Il terrore e gli assassinii mirati
Queste forme di azioni sono incessanti: la prima è generalmente adottata da paramilitari (ad esempio: le 3 esplosioni simultanee che hanno provocato 6 morti e 42 feriti nella città a maggioranza curda di Qamishlo lunedì 11 novembre 2019); la seconda è opera di servizi segreti turchi, il MIT (ad esempio: l’assassinio di Bayram Namaz (Baran Serhat), membro del Comitato centrale di MLKP (Partito comunista marxista-leninista, n.d.t.) e dirigente di MLKP-Rojava, piazzando una bomba nella sua vettura il 23 marzo 2019); la terza consiste negli attacchi con droni (esempio: quello che ha ucciso Jiyan Tolhildan, Roj Xabûr e Barîn Botan, tre comandanti delle YPJ che avevano partecipato a una manifestazione pubblica il 22 luglio 2022, vicino a Qamishlo).
A ciò si aggiungono i bombardamenti militari, la cui finalità è, però, terrorizzare (e provocare trasferimenti) delle popolazioni. Si può collocare in questa categoria il bombardamento del mercato di Tel Rifat il 2 dicembre 2019. Le popolazioni colpite sono state quelle che hanno abbandonato Afrin per cercare rifugio in Rojava. Ricordiamo che questo bombardamento ha prodotto l’uccisione di 10 civili, fra cui 8 bambini.
Il terrore è pure una regola nei territori occupati: rapimenti, assassinii, stupri e saccheggi sono la quotidianità delle popolazioni di Afrin e Serekaniye.
9. Gli investimenti economici e infrastrutturali
Come ogni guerra, la compound warfare (guerra combinata) ha come obiettivo la pace, ma una pace in una situazione politica trasformata. Investimenti economici e infrastrutturali, “programma di sviluppo” rientrano in questo ambito: costruzione di “nuove città”, scuole, strade, sussidi versati a ONG e loro associazioni locali accomodanti, ecc.
La Turchia ha già praticato questa politica nel Kurdistan settentrionale (il sud-ovest della Turchia). Parti intere del distretto di Sur, il centro storico di Diyarbakir sono stati rasi al suolo dai bulldozer dopo l’insurrezione dell’autunno 2015. 6.000 famiglie curde sono state scacciate ed è proibito loro di tornarvi. Nel marzo 2016 il Consiglio dei ministri ha decretato l’espropriazione, a profitto dello Stato, di tutte le pèarcelle private del quartiere Sur (6.292 alloggi, gli edifici pubblici comunali e il patrimonio cristiano sono stati sottratti alla popolazione locale).
10. Le alleanze politiche e ideologiche
Le forze d’aggressione devono “costruire la loro pace” e perciò appoggiarsi su una rete di collaboratori, acquisiti in base a collusione d’interessi, corruzione diretta, affinità ideologica (reazionaria/patriarcale). Nel caso della Turchia, in Siria sono le forze islamiste, ma anche tribali/feudali e, in Iraq, il PDK (Partito democratico del Kurdistan, n.d.t.) del clan Barzani.
11. La propaganda
Si tratta di un elemento essenziale di questa guerra che non vuole sembrare tale.
L’azione della propaganda è diretta (da canali direttamente identificati in Turchia e presso i suoi alleati) o indiretta (attraverso media apparentemente neutri).
Attua operazioni d’informazione (scelta) e di disinformazione (false accuse dirette e circolazione di voci ben studiate e calibrate), riguardanti i media, le forze politiche e le ONG europee.
In questo contesto accadono:
12. I dispositivi legali “antiterrorismo”
Uno dei grandi vantaggi di questa guerra di bassa intensità, per l’occupante, è precisamente il fatto che questo può presentarla non come rientrante nell’ambito della guerra, ma delle competenze di polizia. Sul piano giuridico, ciò toglie alla Resistenza tutte le protezioni della legge di guerra.
Anzi, la potenza occupante può avvalersi dei dispositivi legali “antiterrorismo” a livello nazionale e internazionale, richiamandosi in particolare agli accordi internazionali sul “cessate il fuoco” per stigmatizzare le azioni della Resistenza come azioni illegali.
Quindi la Turchia ottiene da USA e potenze europee la condanna contro le forze della Resistenza e, rispetto ai loro membri, la negazione o il ritiro dello statuto di rifugiato politico, l’arresto, l’estradizione in Turchia o la detenzione in Europa.
13. L’azione in materia di strategia generale
La guerra della Turchia non si limita al Kurdistan. Si estende ovunque il movimento di liberazione nazionale curdo abbia forze e alleati, come pure in regioni limitrofe al Kurdistan.
È anche in questo spirito che agenti della Turchia tentano d’isolare il movimento di solidarietà in Europa e altrove: comunicati stampa, lobbying (gruppi di pressione, n.d.t.) per legislazioni che criminalizzino le organizzazioni curde o quelle della sinistra rivoluzionaria turca, ecc.
14. La guerra dell’acqua
Dall’inizio dell’offensiva turca, la capacità del Rojava di fornire acqua alla popolazione è stata un obiettivo strategico. Il 10 ottobre 2019 la diga di Bouzra, che rifornisce d’acqua la città di Derik, è stata presa di mira dall’aviazione turca, mentre l’approvvigionamento idrico della città di Hassaké è stato interrotto a causa dei danni causati all’impianto di trattamento delle acque di Alok, che rifornisce 400.000 persone nella regione.
Nel 2022 il governo turco ha ridotto per il secondo anno consecutivo la portata dell’Eufrate, consegnando alla Siria in media solo 200 metri cubi d’acqua al secondo, invece dei 500 metri cubi previsti da un accordo internazionale firmato tra Turchia, Siria e Iraq nel 1987.
Il sequestro delle acque da parte della Turchia sta causando siccità nella Siria settentrionale e orientale, dove l’Eufrate è la principale fonte idraulica per il consumo, l’irrigazione e la produzione di elettricità. L’agricoltura, l’allevamento e la salute pubblica sono già colpiti. Il calo del flusso porta all’inquinamento delle acque e minaccia i raccolti estivi (ortaggi e cotone).
Certamente, la Turchia non ha inventato la strategia della guerra di bassa intensità contro popoli liberati. Questa strategia è stata applicata da parecchie potenze dominanti sia per indebolire un Paese liberato in preparazione di una classica invasione, sia come strategia di “seconda mano” dopo il fallimento di un’invasione o in seguito all’obbligo di rinunciare a un’invasione.
Citeremo solo due esempi:
Si possono menzionare altri esempi (Nicaragua…), ma occorre precisare che allora, a causa della “Guerra Fredda”, gli effetti di queste guerre di bassa intensità sono stati in una certa misura compensati dall’aiuto prestato da URSS o Cina.
Ciò nonostante, queste guerre hanno avuto un forte impatto sulle società da loro colpite, direttamente con morti e distruzioni, ma anche indirettamente, obbligando le nuove società a consentire uno spazio enorme alle questioni della sicurezza.
Per le potenze in conflitto con un popolo o popoli irriducibilmente ostili al loro dominio, tale strategia si è sostituita alla pratica del genocidio puro e semplice. Si sono visti i principi di questa guerra che non si presenta in modo simile a quella nei quartieri repubblicani di Belfast o nei bantustan sudafricani.
Anche questa strategia è stata adottata da Israele contro i palestinesi. Questi sono divisi in spazi non vitali economicamente, accerchiati da colonie d’insediamento, mura, basi militari, dipendono dagli israeliani in tema d’acqua ed elettricità. Ogni tentativo di resistere viene schiacciato brutalmente ed efficacemente, ma con sufficiente precisione e discrezione, affinché questa guerra quotidiana contro un intero popolo appaia come semplice operazione di sicurezza.
Peraltro, fino al minimo dettaglio le tecniche israeliane sono imitate dai turchi.
Citiamo ad esempio:
Dalla prima edizione di questo studio, c’è stato un nuovo avvertimento di invasione nell’estate 2022 : dichiarazione di intenti di Erdogan, schieramenti militari, manovre diplomatiche per ottenere il “via libera” da Usa e Russia. Da allora, la Turchia ha temporaneamente sospeso il suo piano di invasione, e ripreso la guerra a bassa intensità intensificandola.
Questa intensificazione richiede una riflessione teorica. La “bassa intensità” può essere trasformata in “alta intensità” per semplice intensificazione? La questione si pone in particolare per il Kurdistan iracheno con l’aumento del numero di basi e avamposti turchi. Questo aumento può provenire da un meccanismo classico nella storia delle operazioni di controinsurrezione. Le forze di repressione creano basi operative, quindi postazioni per proteggere le basi, quindi avamposti per proteggere le rotte di rifornimento di queste postazioni e basi. È un processo classico: ogni nuova postazione diventa essa stessa un bersaglio per la guerriglia, richiedendo la creazione di nuove posizioni…
Ma si arriva, come abbiamo detto, ad una soglia in cui la presenza turca cambia carattere e diventa un’occupazione vera e propria, e lì abbiamo usciamo dal campo della “bassa intensità”.
Per il Rojava, l’offensiva di terra verso le città sembra essere lo spartiacque tra le due forme di guerra, ma lo sviluppo di tecniche e metodi di impiego dei droni ha trasformato profondamente la natura delle operazioni aeree.
In effetti, l’uso dei droni consente:
Nel primo semestre del 2022, la Siria settentrionale ha subito 47 attacchi di droni (ce ne sono stati 89 in tutto il 2021). Con questo uso dei droni (non sorprende che Turchia e Israele siano le due potenze pioniere in questo campo…) stiamo assistendo alla comparsa di un nuovo fenomeno, quello di un’occupazione dello spazio aereo di qualità tale da essere sempre più simile all’occupazione dello spazio terrestre.
Il movimento di solidarietà con il Rojava non deve ignorare la prospettiva di una nuova offensiva “in grande stile” contro il Rojava, in analogia all’aggressione contro Afrin.
Non sappiamo quanto tempo possa durare la fase attuale iniziata a fine 2019. Ciò che sappiamo è che la guerra di bassa intensità condotta ora dalla Turchia contro tutti i territori liberati del Kurdistan (Rojava, Qandil, ecc.) costituisce una forte aggressione, continua e multiforme.
Resistervi richiede grande sforzo, mezzi, intelligenza e determinazione.La solidarietà internazionale può e deve essere un sostegno determinante a questa Resistenza, a condizione che essa pure sia forte, continua e multiforme.
Introduzione
Il Rojava è una realtà democratica e rivoluzionaria unica in Medio Oriente pre-cipitato nel terrore dei regimi dittatoriali laici o religiosi. L’organizzazione so-ciale realizzata dalle forze curde ne fanno:
La difesa del Rojava ha prodotto non solo la mobilitazione dei suoi abitanti, delle comunità curde di altri Paesi, le forze della sinistra rivoluzionaria turca, ma anche dei volontari da tutto il mondo appartenenti a correnti diverse della sinistra rivoluzionaria stessa.
Le forze del Rojava hanno lasciato loro uno spazio di apprendimento e autorga-nizzazione. Questi volontari hanno fatto l’esperienza della realtà del Rojava e sono stati rafforzati nella loro determinazione a difenderlo, parecchie volte con la propria vita.
Daesh è stato sconfitto come Stato, ma sussiste nella forma di reti terroristiche clandestine e di sacche di guerriglieri sulla frontiera irakeno-siriana.
Questa sconfitta obbliga la Turchia a togliere la maschera e intervenire diretta-mente non solo con ex-combattenti di Al Qaida e Daesh riciclati nelle milizia, ma con proprie forze armate.
L’invasione del cantone di Afrin ai primi del 2017 ha rappresentato un dato si-gnificativo da questo punto di vista. Il suo bilancio per gli abitanti di questa par-te del Rojava: sparizioni e torture, perdita di ogni avanzamento democratico, imposizione delle leggi islamiche, persecuzioni delle minoranze e turchizzazio-ne forzata. USA, Russia e le potenze europee non solo hanno lasciato fare, ma armato e finanziato la Turchia.
La pressione esercitata dalla Turchia sul Rojava cresce di giorno in giorno: tiri d’artiglieria, tiri di cecchini, bombardamenti aerei.
Truppe turche e milizie islamiste sono ammassate alle frontiere. Tutto ciò sta a indicare la volontà d’invadere il Rojava prossimamente.
Considerando:
La Segreteria Internazionale del SRI propone, e il Plenum del SRI riunito il 10 novembre 2018 adotta le seguenti Tesi:
La mobilitazione più ampia, con l’impiego di forme di lotta le più diverse, deve difendere il Rojava rivoluzionario. Non si tratta semplicemente di difende-re una bella esperienza straniera: il Rojava è al centro della dinamica rivoluzio-naria in Medio Oriente e la sua influenza sull’Europa è positiva per molteplici ragioni:
Per quante possono essere le riserve o le critiche, tutto ciò fa del Rojava anche il nostro Rojava.
Tutto questo è senza prezzo.
Tutto questo va difeso.
La mobilitazione più ampia, ricorrendo a forme di lotta le più varie, deve combattere i sostenitori e i complici della Turchia: gli Stati della NATO e della Unione Europea, gli USA e la Russia, i gruppi industriali e finanziari che ri-scuotono profitti con la guerra e l’alimentano, a cominciare dai mercanti d’armi. Sono questi finanziamenti qui erogati, sono queste armi qui prodotte a consentire il massacro voluto da Erdogan.
Tutto ciò va denunciato e combattuto!
Tale mobilitazione deve essere assunta dalla sinistra rivoluzionaria sulla base dei propri principi ed obbiettivi. Il movimento curdo, la sinistra rivoluzionaria turca e più modestamente la sinistra rivoluzionaria europea sono componenti legate inseparabilmente, ma specifiche di un unico ed uguale processo di liberazione. Solidarietà non vuol dire subordinazione. Distinzione non è dissociazione: la sconfitta di uno sarà la sconfitta di tutti, la vittoria di uno sarà la vittoria di tutti.
Difendere il rojava rivoluzionario e il movimento curdo !
Attaccare i suoi nemici, qui ed oggi!
Soccorso Rosso Internazionale
luglio 2019